FRiuli: Pasolini e gli “inutili congressi della Filologica”


di PAOLO MEDEOSSI


Pier Paolo Pasolini si presentò al congresso della Filologica friulana a San Daniele, il 21 ottobre 1945, insieme con Cesare Bortotto e Nico Naldini, a vendere le sue edizioni stampate a Casarsa. Lo stesso farà gli anni seguenti a Spilimbergo nel 1946 e a Tarcento nel 1947 . Pare che a San Daniele quel grande scopritore di talenti che era Chino Ermacora lo abbia additato ai vicini dicendo: «Guardatelo bene, perché quel giovane sarà un personaggio». L’aneddoto è raccontato da Gianfranco D’Aronco in un capitolo del suo libro Pasolini riveduto e corretto nel quale ricostruisce i rapporti, ondivaghi, accesi e anche contraddittori, tra il poeta, la sua Academiuta di lenga furlana e la Filologica. È interessante riparlarne, riesumando qualche dettaglio finito nel dimenticatoio, in giorni che vedono un incrociarsi di significative iniziative. Infatti mentre a Gorizia il sodalizio friulano festeggia i 90 anni, a Casarsa si tiene un convegno su Pasolini, sul rapporto con la televisione e sulle sue profezie. Cose a sé stanti, certo, ma fondamentali per chi vuole saperne di più sulla cultura friulana. Per esempio è importante approfondire come la Filologica, passata la tempesta fascista e bellica, ripartì nel dopo guerra seguendo anche quel fenomeno strepitoso e irripetibile, in senso culturale, che si stava verificando dal ’42 oltre il Tagliamento con l’arrivo di Pasolini, ragazzo coltissimo di 20 anni che aveva deciso di stabilirsi nel paese della madre Susanna. Fin da quell’anno – dice D’Aronco – la Filologica guardò con naturale attenzione al fervore di Pasolini. Del resto non aveva alcun motivo di ignorarlo anche perché il poeta, inizialmente, assunse un atteggiamento non aggressivo e anzi rispettoso. Pier Paolo sperava di rinnovare la coscienza e la cultura friulane agendo dall’interno della stessa Filologica, partecipando alle sue attività, ma suscitando ugualmente diffidenza verso questo nuovo che irrompeva, alimentato dalla baldanza di un giovane scalpitante che voleva cambiare tutto partendo dalla poesia, per rifondare la quale attaccava il vecchio zoruttismo. In ogni caso, piccoli “nemici” davanti a grandi e ambiziosi sogni, ma ciò era quanto il Friuli offriva. La rottura, totale e aperta, verrà solo in seguito poiché appunto nel fare i primi passi Pasolini cercò l’adesione dell’istituzione custode della friulanità, come quando pubblicò a proprie spese trecento copie di Poesie a Casarsa e le sottopose a un occhio esperto. Lui stesso raccontò: «Mi recai a Udine e con il mio libretto sotto il braccio andai a trovare Ercole Carletti. Mi fece una forte impressione: era nel suo ufficio di ragioniere capo in Comune, con la sua bella faccia di vecchio con la canizie aristocratica e, come dire, alpina». La recensione, firmata “g”, la iniziale di Ginorio, pseudonimo di Carletti, uscì sul periodico Ce fastu?, ma non era proprio ciò che Pier Paolo si aspettava, esprimendo riserve su testi che comunque – c’era scritto – «arricchiscono la poesia friulana di nuove vibrazioni».<br />
L’attenzione della Filologica restò comunque sempre alta su Casarsa e dintorni e quando, nel giugno del 1947, Pasolini inaugurò la nuova sede dell’Academiuta, da Udine partì un torpedone pieno di dirigenti del sodalizio, scrittori, appassionati. Anni nei quali Pasolini era pure consigliere della società accanto a personaggi come Tessitori, Gortani, Morpurgo, Biagio Marin, Borghello, D’Aronco stesso. Ma presto il suo giudizio sulla situazione e sul Friuli cambierà moltissimo, portandolo su rive opposte e nel 1949 criticò duramente tutta la Filologica «con i suoi inutili congressi». Poco dopo ci fu la sua fuga a Roma e in quei primi tempi da “esiliato” Pier Paolo scrisse un abbozzo di romanzo, che tentò di far pubblicare a Leonardo Sciascia su una rivista, ma che rimase inedito. È stato ricostruito in seguito raccogliendo le sue carte alle quali è stato dato il titolo de Il disprezzo della provincia. E fra i capitoli ce n’è uno che descrive in maniera umoristica un congresso della Filologica a “Villa Carnica”. In una lettera a un amico, Pasolini (che doveva ripetutamente tornare a Udine per il processo sui fatti di Ramuscello) spiegava che il racconto era ambientato nell’eterno Friuli «che accoglie – malamente – il Matusalemme della giustizia, in quella giungletta di cobra e di jene che è la provincia di Udine».
La pace verrà soltanto con gli anni. Come si sa, i suoi ultimi versi Pier Paolo li scrisse proprio in friulano. In una lettera del 1969 a D’Aronco, nella quale affermava di non occuparsi più di poesia popolare, commentò: «Ti dico questo con un profondo senso di vergogna: come se avessi colpevolmente perduto qualcosa che mi era stato affidato».