Friuli: qual’è la dimensione ottimale degli istituti comprensivi?


di Pasquale d'Avolio presidente regionale Andis

Come ogni anno ormai di questi tempi si torna a parlare di “dimensionamento della rete scolastica”, la cui proposta spetta alle Province con il coinvolgimento degli enti locali e l’approvazione definitiva alle Regioni, salvo l’intervento “correttivo” dell’Amministrazione scolastica, cui spetta in fin dei conti l’assegnazione degli organici. La novità di quest’anno è che la legge 111 del luglio scorso, oltre a unificare le scuole elementari e medie nei nuovi “Istituti comprensivi” (già esistenti nel 50% dei casi), fissa nuovi parametri numerici “nazionali” rispetto a quelli precedenti, su cui pende comunque il ricorso di alcune Regioni. Si verrebbero infatti a ledere la potestà delle Regioni, così come stabilito già con una sentenza della Corte costituzionale del luglio 2009 (ma il Governo ci riprova!). Il fatto strano è che si avranno 3 distinti parametri: uno per i precedenti comprensivi (da 500 a 900 alunni, salvo la deroga fino a 300 per la montagna), uno per le scuole superiori (minimo 500, massimo 900, ma solo sulla carta, in quanto si può arrivare e si arriva anche a 2000) e uno per i nuovi comprensivi (minimo 1000 senza un massimo). Quale sia la logica di tale differenziazione non si capisce. Ma il punto è un altro: si dovrebbe stabilire quale sia l’ottimale dimensione di un istituto e in base a questa si dovrebbero fissare dei limiti, che possono non essere uniformi, ma sulla base di alcuni criteri. Purtroppo non è così. E allora proviamo a definire questa ottimale dimensione, sapendo che i parametri possono variare in rapporto a varie tipologie e a vari indicatori. Così se si guarda dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi, occorre prevedere che i servizi amministrativi non possono scendere al di sotto di una certa soglia: una segreteria funzionale ha bisogno di almeno 5/6 impiegati (oggi si va da un minimo di 2 fino a 15 nei grandi istituti). Ma la complessità di una scuola non dipende dal numero di alunni, anche se questa incide certamente, non tale però da giustificare tale forbice. Dal punto di vista di quella che definirei la “comunità professionale” (vale a dire il numero dei docenti) è evidente che con un numero di insegnanti ridotto al lumicino non c’è scambio, non c’è confronto adeguato e soprattutto non c’è ricerca, ma con comunità professionali troppo ampie (fino a 300 docenti, come ne esistono) si finisce perfino per non conoscersi e i Collegi docenti divengono dei parlamentini, dove possono intervenire poche persone (i “capigruppo”). E allora anche qui occorrerebbe fissare una soglia. Se si guarda dal punto di vista della Dirigenza, occorre definire quali sono le “funzioni da presidiare”: quella amministrativo-gestionale, quella dei rapporti con il territorio o quella educativo-didattica. Non si può escludere alcuna, ma allora la dimensione dell’istituto va riferita alle concrete possibilità di presidiarle tutte e tre. E qui entrano in gioco non solo i parametri numerici, ma anche quelli geografici: una piccola scuola non consente un rapporto “forte” con il territorio, ma un megaistituto difficilmente consentirà al dirigente di occuparsi realmente della qualità dell’offerta formativa, specie in presenza di molti plessi e di un territorio molto vasto (come in montagna). Un ulteriore elemento da considerare è la necessità di investimenti in attrezzature e laboratori, che non possono essere “frammentati” in molti istituti, per cui diverso è il discorso per le scuole tecnico-professionali rispetto ai Licei o alle scuole di base. Ultimo e non meno importante elemento che vale soprattutto per le scuole di base è il rapporto con il territorio: gli istituti comprensivi a esempio devono riferirsi a un territorio omogeneo e non vanno costituiti accorpando realtà troppo diversificate pur di raggiungere i numeri minimi. In sostanza la questione del dimensionamento non solo va sottratta alle esigenze di carattere economico (la spesa per le dirigenze e le segreterie) pur importante, ma va inserita in un discorso più complesso e quindi va esaminata caso per caso, superando le microrealtà, ma anche i megaistituti. Stabilire dall’alto un numero come si fa con la legge 111 è irrealistico, mentre sarebbe più valido indicare una fascia entro la quale definire l’“ottimale dimensionamento” e coniugare le istanze degli enti locali (cui spetta per legge esprimere un parere, che non sia possibilmente “localistico”) con l’esigenza di una qualità del servizio, a cui possono dare un contributo decisivo gli operatori della Scuola. Vedrei bene quindi dei tavoli di lavoro misti a livello di singole zone, come avviene in Alto-Friuli, e come sembra si stia orientando la Provincia di Udine. *