Friuli: riti e tradizioni per San Valentino

di CRISTINA BURCHERI
«La festa di San Valentino fu soppressa, se ben ricordo, dal Veneto Senato, ma leggi di oltre un secolo non han potuto ancora sradicarla del tutto, cosicché il 14 febbraio si fa a Udine mezza festa e si va al pomeriggio alla chiesa di San Valentino in borgo Pracchiuso a comperare la chiavetta benedetta di stagno o d’argento da appendere al collo dei bambini perché li preservi da mal caduco». Scriveva, a fine Ottocento, Valentino Ostermann (1841 – 1904) testimoniando dalle pagine di “La vita in Friuli” che il culto valentiniano era molto diffuso e sentito dalle genti friulane. In città ed in campagna. A tal riguardo ancora Ostermann ci ricorda: «Nel Friuli contadino dell’Ottocento il 14 febbraio, dopo la celebrazione religiosa, era costume andare all’osteria a far merenda, mangiando le salsicce fresche e le braciole di maiale purché la festa non cadesse in un giorno di magro nel qual caso sulla mensa comparivano aringhe, sardelle, uova e verdura primaticcia a profusione».<br />
Anche oggi eventi, fiere o mercati dedicati al patrono degli innamorati ritornano in molti centri della regione; tale devozione è documentata anche dal fatto che, in numerosissime chiese friulane, un altare era dedicato proprio al santo di Terni, città in cui, nel 176, nacque e di cui il vescovo e martire è patrono.
La festa di San Valentino fu istituita nel 496 quando papa Gelasio I decise di contrapporla alla festività pagana della fertilità (i Lupercalia). Oltre a essere il patrono dell’amore universale san Valentino era venerato per le sue doti di taumaturgo. A questo ruolo di guaritore era destinato dal suo stesso nome “Valentinus”, in latino, che deriva dal verbo “valere”: star bene in salute, essere sano e forte. In Friuli era invocato a protezione dell’epilessia, nota come “mal caduco” o “male di san Valentino”. Andreina Nicoloso Ciceri («Tradizioni popolari in Friuli», Società Filologica Friulana, Chiandetti editore) a proposito del santo di Terni spiega: «La malattia che da lui prendeva nome era terribile e misteriosa per cui non si mancava di andare ad acquistare il pane benedetto (a forma di otto), le chiavette benedette e, in taluni centri, anche delle lunghe e sottilissime candeline, che si accendevano durante le crisi epilettiche come la chiavetta che si appendeva al collo dell’ammalato di “malcaduco” o “mâl dal assidènt”» e anche ricordava: «Uuna chiave reale, di ferro, veniva messa nella mano contratta dell’ammalato, forse per spontanea ispirazione, non certo per consapevole mesmerismo».
E, a proposito della particolare forma ad otto di questi pani benedetti (biscotti rituali del 14 febbraio) la studiosa ipotizza che «simboleggiavano probabilmente la serpe intesa nell’accezione di pharmacos (i due serpenti intrecciati), come nella verga degli araldi e di Mercurio». Somiglianti ad un otto erano quindi i “colàz” in questo caso detti “di san Valentin”, ciambelle tipiche che erano sfornate in speciali occasioni: a san Valentino, per la Cresima, per le nozze…