Friuli: tradizioni e cibi per San Niccolò

di CRISTINA BURCHERI

 
«Nell’Adriatico, nel Levante e anche nelle acque francesi si chiama fuoco di San Nicola quella luminescenza elettrica nota anche col nome di fuoco di Sant’Elmo, osservabile durante le burrasche sulla cima dell’albero maestro e sulle torri lungo la costa e che la gente di mare considera di buon auspicio». Raccontava così la leggenda di San Nicola, patrono dei naviganti, l’etnografo Anton von Mailly (Gorizia 1874 – Venezia 1950) spiegando dalle pagine di “Leggende del Friuli e delle Alpi Giulie” (Edizione Leg), che in quella luminescenza «gli antichi greci vedevano la presenza dei Dioscuri, Castore e Polluce; nel Medioevo vi si volle vedere invece quella di Cristo (Corpo Santo), quella di Maria (Stella Maris), o più frequentemente quella di Sant’Elmo od Ermo e di San Nicola». L’etnografo ricorda una consolidata custumanza dei marinai dell’Adriatico: «Durante i loro viaggi riservavano ogni giorno una ciotola di cibo per San Nicola. Essa a turno viene riscattata da un membro dell’equipaggio. Al felice arrivo al porto la somma così racimolata viene consegnata ai poveri».<br />
Nicola, uno dei santi più popolari del cristianesimo, fu vescovo nella seconda metà del IV secolo della città di Myra, nell’odierna Turchia. Sull’Adriatico Nicola di Mira o Nicola di Bari, o San Nicolò (o Niccolò) è patrono di bambini, scolari, naviganti e pescatori. Ma anche di farmacisti, mercanti, profumieri, bottai… è l’ispiratore della figura di Babbo Natale.
In regione la “festa degli scolari” triestino-giuliana si discosta notevolmente dal San Nicolò di Carnia che si rifà al culto nordico del vescovo che assume la funzione di tener a bada gli spiriti pericolosi. Spiriti che, a seconda dei paesi, si chiamano spitzparkeli, krampus… Alcuni fanno derivare la parola krampus dal tedesco kramp (artiglio) di cui questi diavoli della Valcanale sono ben forniti.
Lo studioso friulano Valentino Ostermann, riportando le tradizioni e i riti di maggior rilievo folclorico del suo tempo – l’Ottocento – nel volume “La vita in Friuli” (pubblicato la prima volta nel 1894, recentemente ristampato da Del Bianco Editore), sottolineava che «San Niccolò di Bari è anche da noi (in Friuli) patrono degli scolari. La vigilia di San Niccolò i fanciulli mettono alla finestra una calza, una scarpa o un piatto. I santo passerà sul suo asinello e lascerà loro chicche e giocattoli». Assieme al piatto era tradizione lasciare sul davanzale della crusca, del fieno e dell’acqua per l’asinello che trasporta le pesanti bisacce del santo. Il mattino seguente i bambini avrebbero trovato frutta secca, monete di cioccolata, mandarini, mele rosse e, a testimonianza che di lì era passata la magica processione, anche un piccolo Krampus di pane dolce o di panpepato con la lingua di carta rossa e con in mano una verga. Una variante confeziona due diversi pani dolci che simboleggiano entrambi gli antagonisti perciò detti i vèscui e i gìani. Specificava infine Ostermann: «A Udine e nel Friuli pianigiano, i regali non li porta San Niccolò, ma Santa Lucia, 13 dicembre».