Friuli

di CLAUDIO FABBRO
Il “brand” Pescheto Friuli lo creiamo mutuando una felice intuizione già collaudata per il vigneto. Di marketing efficace, ma anche di ricorrenti delusioni, che talvolta coinvolgono anche marchi felici, ma adottati per tempi troppo corti per lasciare il segno ha parlato domenica scorsa a Fiumicello, con dovizia di particolari, il prof. Mario Gregori dell’Università di Udine, nell’ambito della 52^ Mostra regionale delle pesche. Rossa e rombante la cornice, con il passato e il presente della Formula 1 di Maranello, in ideale e colorito gemellaggio con la drupacea “tipicamente friulana”. Una giornata immersa nel pescheto, con interventi del sindaco di Fiumicello, Ennio Scridel, dell’assessore provinciale Daniele Macorig e di quello regionale Claudio Violino  a spaziare dai tormenti dei mercati mondiali alle gioie del palato, in un confronto fra agricoltori, tecnici e politici ricco di spunti, qualche vivace punzecchiatura, ma anche interessanti ricette utili per guardare avanti con maggior serenità. L’occasione è stata propizia anche per ricordare un grande professionista, Pietro Martinis (1902-1969), tecnico friulano a 360° (frutteto & vigneto) che con il suo lavoro ha contribuito a far crescere l’agricoltura specializzata del territorio, in particolare quello sontino (diresse per oltre 20 anni la Tenuta Cosolo di Fogliano e dal 1946 al 1959 quella di Angoris a Cormòns) e della Bassa Friulana. Iris Rosso, Triestina e Isontina sono le sue creature di punta quale costitutore di varietà di pesco, frutto che ben si identifica con Fiumicello (qui si coltivano quasi 80 ettari sui 266 presenti in regione, pari a 10-15 mila quintali). Un comparto il quale, alla crisi globale che sta frenando i mercati, risponde con una qualità crescente e di un tanto si è avuta conferma, dopo il convegno tecnico, nell’ideale passerella che ha visto premiate le migliori cassette ma anche il miglior pescheto. Perché anche la pesca, prima della dimensione e bellezza che sono importanti per richiamare il consumatore allo scaffale, ha bisogno di un lavoro serio a monte, e cioè nel campo, considerata la sua vulnerabilità in post raccolta e conservazione. Per farla breve, meglio un sano “chilometro zero” con prodotti sicuri di casa nostra che d’altri paesi dove le garanzie fitosanitarie e salutistiche lasciano alquanto a desiderare.