Majano: Martina Riva, giornalista tv dell’anno


di GIAN PAOLO POLESINI

 

 
I rosari disperati di certi giovanotti oberati dalla noia («Eh, non si trova lavoro») potrebbero scontrarsi – e annullarsi – con il background della signorina Martina Riva, partita da Majano e sbarcata a Los Angeles con una laurea in tasca e con un inglese troppo british per essere fluently negli Usa. Prima la notizia: il premio Domenico Meccoli giornalista tv dell’anno, che le sarà assegnato oggi ad Assisi, è un ottimo gancio per far conoscere meglio il vita, le azioni e i miracoli personali di una ragazza come tante e con una voglia pazzesca di farcela.  La differenza è questa. «Valigia in mano pronta a rientrare in Italia, mi sento dire: “Martina, stai dove sei, cosa ti salta in mente di rimettere piede in patria. Fai tu”. Il rischio, ormai, faceva parte del progetto e così mi sono imbarcata».<br />
– Riavvolgiamo. Laurea a Udine, ci pare?
«Sì, in Conservazione dei beni culturali. Da qualche parte mi porterà, pensavo. Non in quella canonica, comunque un pezzo di pergamena è sempre utile».
– Il Friuli ti stava stretto?
«Se hai ambizioni nel giornalismo, be’, un giro oltre i confini tocca farlo, se hai ventisei anni e la convinzione di quello che vuoi veramente. Venezia-Los Angeles. Metropoli scelta apposta in quanto la più amalgamata al cinema, primo amore».
– Adattamento difficile?
«Un anno per cambiare il mio inglese studiato a Bristol in un americano ben più secco. Mica facile. Per arrivare alla metamorfosi mi sono inventata baby sitter e ragazza alla pari. Appena ho avuto la percezioni di poter camminare da sola è arrivato il master in giornalismo e il successivo stage in una televisione della Warner Bros».
– Poi?
«Tre anni di redazione spettacoli con alcune varianti: oltre alla parte mediatica scrivevo per alcuni siti e i miei pezzi spesso sono finiti sui maggiori quotidiani Usa. Così a raccontare sembra tutto facile, eppure non lo è stato».
– E, quindi, lo sbarco a Sky
«Circostanze fortunate e onestamente guadagnate, se posso aggiungere. I miei genitori lavorano alla Snaidero e non ho zii e cugini famosi pronti a fare una telefonata per me. A volte anche il destino è capace di sorridere. Il colloquio col direttore Emilio Carelli ha rispettato una tempistica pazzesca. Non un mese prima, non un mese dopo. In quell’attimo perfetto di rinfoltimento della redazione spettacoli. Eccomi qui».
– Giornalista tv dell’anno, oggi il premio ad Assisi. Cosa? siamo curiosi
«Una targa con un grande valore di conquista onesta. Ho faticato e qualcuno se n’è accorto».
– Ti hanno telefonato?
«Sì, mentre ero al bar con un collega di Raidue. Il quale, tra l’altro, mi aveva votata. Pare sia stata una scelta collettiva».
– Domanda: la televisione è sempre più ansiogena e padrona del mondo. La responsabilità è immensa. La gente la considera, nonostante tutto, un totem quasi infallibile. Così non è, purtroppo. Secondo te, c’è la necessità di un totale ridimensionamento?
«Noi di Sky Tg24 abbiamo un diktat: cronaca asettica, cercando di non influenzare lo spettatore. La notizia nuda e cruda, poi chi guarda giudica e ci ragiona su. I grandi casi, è ovvio, creano sempre eccessiva polvere e chiunque faccia informazione vuole esserci. Un sovraffollamento in tempi di multimedialità è normale, poi c’è chi sgarra e chi agisce in buona fede».
– Il cinema subisce lo stesso trattamento?
«Certo, io non sono una critica, bensì una cronista. Racconto, informo. Punto».
– Il Friuli ti manca?
«Molto. Il mestiere, però, non consente scelte. Quando sentirò vicino il tempo di appendere il microfono, ci penserò di sicuro».