Pahor: nessuna lingua è minoritaria, la opresentazione di “Letterature nascoste” di Anna Bogaro


di Fabiana Dallavalle

Nessuna lingua è minoritaria di fronte ad un’altra lingua». Boris Pahor, grande scrittore italiano di lingua slovena, autore di Necropoli e oggi uno dei massimi testimoni della persecuzione nazifascista, presente quale illustre ospite alla presentazione del volume Letterature nascoste di Anna Bogaro, ieri alla Feltrinelli, non ha alcun dubbio e ricorda che «l’identità di una lingua può essere tale nonostante la quantità degli abitanti che la parlano. Alla letteratura così detta maggioritaria, quella parlata da uno Stato – ha ricordato nel suo intervento Pahor – possiamo dare le nostre esperienze umane di sopravvivenza, se a queste interessa. Purtroppo, di solito la letteratura maggioritaria e gli scrittori che la rappresentano stentano a riconoscere una letteratura minoritaria a sé stante». <br />
E il libro di Anna Bogaro, nato da una tesi di dottorato di ricerca dell’autrice e dai suoi studi di lingua e letteratura friulana, colma il vuoto di uno spazio letterario sconosciuto al grande pubblico e poco frequentato anche dai critici: le creazioni poetiche e le prose nelle lingue minoritarie storicamente presenti nella penisola. Per la prima volta – ha spiegato Maria Carminati, critica letteraria che ha avuto il compito di introdurre il volume – «viene proposto un quadro critico d’insieme, illustrando le maggiori storie letterarie prodotte nell’Italia plurilingue e dedicando attenzione particolare ai percorsi della narrativa».

 

L’Italia multilingue che non sa di esserlo viene così mappata in un libro che ricorda quanto sia importante per la vita e la sopravvivenza di una lingua il suo ancoraggio ad una scripta, a una tradizione non solo orale. Rilevante è poi che ogni singolo idioma minore punti alla dignità di opera letteraria, che gli scrittori, insomma, lo pratichino. Il respiro della creatività artistica – ricorda Tullio de Mauro, nella stessa prefazione del volume – «vivifica una lingua, lo insegnano i fatti». Nel suo libro la Bogaro si occupa dunque della questione italiana della lingua dialetto, della sua evoluzione e della sua importanza quando il ricorso alle forme dialettali non sia un’abdicazione al controllo della lingua ma piuttosto una «risorsa alle spalle di una lingua» e ricorda Segre, Croce, Verga, Capuana e De Roberto e l’egemonia della prosa, del romanzo storico sulla poesia, che dovette aspettare invece Pasolini. Proprio lui che avrebbe denunciato «l’occasione mancata» della letteratura dialettale antifascista e che scriveva «quando un dialetto diventa lingua, ogni scrittore usa quella lingua conforme alle sue idee, al suo carattere, facendone uno stile che non è né italiano, né friulano, né tedesco è di quel poeta e basta».
Di ulteriore approfondimento i capitoli sulla letteratura friulana e i fermenti letterari del Friuli orientale e alla letteratura slovena d’Italia. Le interviste a Flavio Soriga, Roland Verra, Boris Pahor, Carlo Tolazzi, Franco Bronzat e Carmine Abate, che completano il libro, sono infine l’esempio di come il confronto tra diversità sia un modo utile di testimoniare che occuparsi di minoranze non è chiudersi nel particolarismo. «Un libro importante per gli studi, la coscienza comune e la comune cultura – ha concluso Pahor – che dovrebbe essere presente nelle scuole, perché salviamo o perlomeno tentiamo di salvare la natura, alcune specie animali e le lingue che ha creato l’uomo invece le lasciamo morire».