Roma: morta Cesarina Vighy, la scrittrice malata di SLA

L'ultimo libro dell' autrice

E’ morta nella sua casa di Monteverde su uno dei colli che guardano la Capitale, la scrittrice Cesarina Vighy. Nata a Venezia, viveva a Roma da decenni. Aveva esordito nel 2009 con «L’ ultima estate» (Fazi) vincendo il Campiello Opera Prima ed entrando nella cinquina dello Strega. Venerdì 30 aprile era uscito il suo nuovo libro: «Scendo. Buon proseguimento», un addio epistolare costruito con un corpus di mail inviate a vari interlocutori  (la figlia, gli amici, l’ editore), di cui il Corriere della Sera aveva anticipato alcuni brani.
Cesarina Vighy, Titti per gli amici, era malata di Sla da sei anni e il suo primo romanzo era già stato un inno alla vita: una parte dei proventi li aveva voluti devolvere a «Viva la vita», una onlus che si occupa dei malati di Sclerosi laterale amiotrofica. Il funerale in rito civile probabilmente martedì al Verano al Tempietto Egizio.

Coltissima, grande amante degli aneddoti e delle storie, era riuscita a raccontare la sua malattia con la mano incantata di una vera, grande scrittrice. Nell’immane sforzo di affrontare la malattia era capace di una singolare ironia: «Venerdì sera mi sono coricata da semi-sconosciuta e il mattino dopo ero il "caso Cesarina Vighy"! Veramente, quando si annunciò la mia rara malattia – scriveva il 22 aprile 2009, alla vigilia del Campiello -, mi lasciai scappare dalla bocca che avrei preferito essere appunto più un caso letterario che un caso clinico».

E ancora, nella lettera ad un amico del dicembre 2007, già scriveva: «Un barone della medicina, da me interpellato circa le cause che avrebbero provocato la mia malattia mi ha risposto di girare la richiesta al Padre Eterno! Quanto alla cura, non c’ è, quindi non devo prendere niente (tranne gli psicofarmaci per stare un po’ tranquilla) e sperare che il decorso sia il più lento possibile. Dopo di che, ci ha scucito trecento euro (senza rilasciare fattura) perché eravamo due amici, altrimenti erano quattrocento».
Romana di adozione, aveva a lungo lavorato al ministero dei beni culturali e poi alla Biblioteca nazionale di Storia Moderna e Contemporanea di via Caetani alla quale era legatissima. Lascia il marito Giancarlo, «l’angelo incazzoso che mi aiuta a vivere», la figlia Alice e il nipote Ernesto «l’amato filosofo», i suoi gatti che «senza saper leggere né scrivere hanno capito questo libro».