Tolmezzo: si apre “Edilizia che passione!” progettisti friulani di talento, una mostra di disegni primo Novecento

 

di PAOLO MEDEOSSI
Bauli, cassetti, mobili giunti a noi del passato sono come il vaso di Pandora: aprendoli esce un universo di oggetti e immagini che raccontano un sistema di vita e una civiltà perduta. Succede cosí anche davanti a una serie di disegni cesellati a colpi di china e pennello, come si usava nei licei o negli istituti tecnici. Una mano che pare già esperta ha tracciato queste tavole dove appaiono facciate di case e piante di edifici nei quali pulsava “il mondo di ieri” raccontato da Stefan Zweig, l’insieme di abitudini e rapporti sociali spazzato via dalla prima guerra mondiale. Il fatto singolare è che i disegni rispuntano a sorpresa, dopo un secolo di navigazione misteriosa tra gli affetti di una famiglia, e che la mano capace di disegnare quelle linee apparteneva a un ragazzetto di poco più di quindici anni, carnico, andato a studiare in una scuola austriaca di Klagenfurt per fare il mastro muratore. È sorprendente verificare come un’età cosí giovane, se accompagnata da talento, passione e applicazione pratica, potesse arrivare a simili esiti che sembrano stupefacenti cent’anni dopo, quando l’informatica rende superflua l’abilità manuale perché fa piú o meno tutto la macchina. La storia di Michele Menegon è un gioiello che ci arriva dal primo Novecento con significati su cui sviluppare ragionamenti sempre utili. Lo si capirà visitando la mostra allestita a palazzo Frisacco, a Tolmezzo, la cui inaugurazione è prevista sabato 2 aprile alle 17, restando poi aperta fino al giorno 25. Si intitola “Edilizia che passione!” ed esporrà un centinaio di tavole recentemente restaurate, disegnate a china e acquerellate, in cui si snoda il percorso del giovane originario di Amaro, diplomatosi “maurermeister” (appunto mastro muratore) a Klagenfurt, nella Scuola imperiale regia per l’artigianato edile. Partito timido e impacciato dal paese, Michele si inoltrò nella città, apprese una nuova lingua, seguì i corsi teorici (che duravano da novembre a marzo) e quelli pratici in estate, sotto la guida di straordinari insegnanti e architetti, elaborando progetti che diventavano sempre più sicuri e nel 1907 lo condussero all’esame finale. Menegon volle conservare quei disegni, affidandoli poi alla cura del figlio Firmino e della famiglia, facendoli cosí giungere a noi grazie alla nipote Maria Grazia, a cui si deve adesso questa iniziativa, con il sostegno dei Comuni di Tolmezzo e di Amaro mentre il catalogo, bellissimo, è stampato dalla Cooperativa libraria dell’università di Padova. Nei testi che accompagnano le tavole, è spiegata la storia che riguarda un aspetto poco noto della nostra emigrazione. C’era sicuramente la vicenda dei padri che andavano “nelle Germanie” per lavorare, come nel caso del padre di Menegon, ma c’era anche un’emigrazione scolastica importante. La seconda parte dell’Ottocento venne segnata dal boom dei lavori in edilizia, tra le nuove ferrovie (settore nel quale si distinse un grande friulano come il conte Giacomo Ceconi) e la diffusione del primo turismo, che richiedeva alberghi e case da villeggiatura. E questo era il dato saliente nella zona di Klagenfurt. I ragazzini carnici venivano cosí mandati (da padri avveduti ed esperti della situazione austriaca perché li lavoravano) a studiare da quelle parti dove imparavano una lingua e trovavano insegnanti eccezionali per saper poi costruire. Requisiti minimi erano aver compiuto dodici anni e aver fatto le sei classi delle elementari. Fu questa la strada percorsa anche dall’architetto Raimondo D’Aronco, che aveva frequentato una scuola per mastri a Graz prima di diplomarsi all’Accademia di Venezia. Vigilio, padre di Michele Menegon, sapeva tutto ciò e prese la saggia decisione per il figlio, che d’estate faceva esperienza lavorando per le imprese gestite da italiani, come quella di Jacob Menis, originario di Artegna, con cui il ragazzo mantenne contatti anche quando andò a lavorare a Kitzbuhel alle dipendenze di Franz Santarossa. Tra gli insegnanti spiccava il nome di Franz Baumgartner, principale esponente dell’architettura legata al Worthersee: una mescolanza di Jugenstil e Romanticismo locale, di barocco e architettura inglese di campagna, come si vede anche nelle tavole firmate dall’allievo di Amaro. Il catalogo della mostra delinea i passaggi e riporta alla memoria i nomi attraverso scritti di Maria Grazia Menegon, del sindaco Laura Zanella, dell’architetto Guglielmo Dri e della professoressa Nadia Mazzer, i quali spiegano il valore di disegni vecchi di un secolo, eppure cosí moderni nella freschezza creativa, e come la vicenda di Michele ci insegni ancora tanto, per esempio l’importanza delle scuole professionali che fondevano teoria e pratica, “imparare e fare”, secondo le buone regole con cui formare non un lavoratore subalterno, ma un artigiano che poteva, se abile e fortunato, mettersi in proprio. Ricetta ancora provvidenziale di fronte alla crisi di adesso. L’esperienza austriaca di Menegon venne cancellata dalla guerra mondiale. Richiamato con il grado di sergente, combatté ad Asiago, sul Carso, partecipò alla presa di Gorizia, quindi sul Piave. Tornato non volle raccontare niente. Aveva dovuto sparare ai suoi ex-compagni di scuola. La carenza di lavoro lo fece poi ripartire di nuovo, stavolta verso la Francia dove diresse cantieri e fu impegnato in molte opere. Anche da lí dovette tornare allo scoppio della seconda guerra in quanto come italiano era personaggio sospetto. A fine conflitto fece l’assessore nella giunta popolare di Amaro. Morí nel 1957, lasciando poche parole, tanti fatti e cento tavole, che adesso per la prima volta tutti possono vedere.