Ampezzo: in una monografia la storia di una valle e della sua gente


di FULVIO SALIMBENI

L’ateneo di Udine risponde nel modo migliore alle spesso immotivate accuse al nostro sistema universitario dando alle stampe un’esemplare monografia microstorica, Ampezzo nel Novecento, commissionata dall’Associazione “Dimpecins a Udin” (Edizioni Ribis, 480 pagine, s.i.p.), portando a termine un’indagine avviata quindici anni fa con la pubblicazione d’un altrettanto poderoso volume a più mani – concepito, per iniziativa della famiglia, per ricordare Sara Spangaro, immaturamente scomparsa -, Ampezzo. Tempi e testimonianze, che ricostruiva le vicende di quella comunità dalle origini altomedievali al chiudersi del XIX secolo.
Riprendendo le considerazioni metodologiche introduttive di Paolo Pecorari sul concetto di storia locale e microstoria nel primo tomo di questo lavoro, i referenti scientifici di questa seconda parte (Andrea Zannini, Paolo Pecorari, Mauro Pascolini, Giovanni Frau), hanno impegnato i loro collaboratori, tutti collegati con l’ateneo friulano, in una ricerca pluridisciplinare che spazia dalla storia politica ed economica a quella di genere e religiosa, dalla sociolinguistica alla geografia e alle tematiche turistiche, fornendo una panoramica esauriente e dettagliata della realtà ampezzana dell’ultimo secolo, sostanzialmente unitaria e coerente, fondata sull’utilizzo d’una massa imponente di documentazione d’ogni genere. Si va, infatti, dalle mappe catastali e dai rilevamenti satellitari agli atti delle visite pastorali e ai diari parrocchiali, dalle testimonianze orali alle cronache giornalistiche, dalle relazioni di ispettori scolastici a memorialistica locale, tenendo ovviamente presente la produzione storiografica di carattere generale così come quella più propriamente regionale, che sostanzia il ricco apparato di note di corredo a ogni capitolo, integrato da un cospicuo apparato fotografico e cartografico, cui s’aggiungono pure riproduzioni di quadri del pittore ampezzano Marco Davanzo. <br />
Se i protagonisti della trattazione possono essere, di volta in volta, il paesaggio e le opere dell’uomo, boscaioli e malgari, parroci e sindaci, artigiani e imprenditori, i temi e le figure principali, esplicitamente o implicitamente più o meno sempre presenti, sono i boschi e il Lumiei con il lago artificiale di Sauris, Michele Gortani – uomo politico e studioso che spese l’esistenza in pro’ della sua Carnia -, Angelo Unfer – cui si deve quella scuola professionale che forgiò varie generazioni di qualificati operai e artigiani -, le donne e gli emigranti, che da angolature diverse campeggiano sempre nel discorso, segnando in profondità lo specifico tessuto geo-economico e socio-politico locale. I diversi contributi ricostruiscono in maniera analitica i momenti nodali della storia novecentesca della comunità ampezzana, condizionata da un ambiente naturale tutt’altro che favorevole dal punto di vista economico e dalla marginalità rispetto ai principali centri amministrativi, culturali e sociali, sicché dopo l’annessione al Regno d’Italia, nel 1866, e la crisi degli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, venne incrementandosi un fenomeno, già presente almeno dal Cinquecento, quello dell’emigrazione verso il bacino danubiano e la Germania meridionale, tradizionale meta dei lavoratori in cerca di miglior sorte fino almeno alla Grande Guerra, dopo la quale, causa le mutate condizioni internazionali e la politica fascista, avversa a tale opzione, che piuttosto cercò d’orientare verso le colonie africane, l’emigrazione venne riducendosi e semmai orientandosi verso l’America Latina, assumendo sempre più spesso un carattere definitivo e non più stagionale, mentre le rimesse alle famiglie di rado servivano a migliorare le condizioni materiali, essendo spesso sperperate nelle osterie o nell’acquisto di minime proprietà terriere, che non risollevavano, anzi aggravavano le condizioni dell’agricoltura locale, che così parcellizzata non poteva essere oggetto d’una politica di miglioria e modernizzazione.
Neppure il turismo, pur presente in qualche misura dalla fine del XIX secolo, riuscì a essere una carta vincente, sia per l’insufficienza delle strutture (benché negli ultimi decenni molto si sia fatto almeno per quello estivo) sia per i mutamenti climatici, che, riducendo l’innevamento, hanno impedito lo sviluppo di quello invernale; altrettanto dicasi per l’artigianato e per l’industria, mai veramente decollata, neppure al tempo del miracolo economico, per l’arretrata e insufficiente rete di infrastrutture viarie, anche il sogno di adeguati collegamenti ferroviari con la pianura essendo tramontato miseramente, nonostante le speranze inizialmente riposte nella costruzione della ferrovia da Carnia a Tolmezzo e Villa Santina. Tutto ciò si rifletteva pure nello sfruttamento del patrimonio boschivo, troppo costoso e non conveniente, tanto da declinare esso pure, mentre negli ultimi tempi s’è cercato d’avviare una politica di turismo eco-sostenibile, incentrato sulle escursioni nei boschi, di cui la zona è ricca. A questa negativa situazione strutturale, si cercò d’ovviare tanto con la promozione del cooperativismo, sia cattolico sia socialista – e su tale versante una ricaduta positiva l’ebbe l’emigrazione, che fece scoprire le più evolute realtà organizzative della socialdemocrazia tedesca -, che, però, già osteggiato dal regime fascista, collassò definitivamente dopo la seconda guerra mondiale, quanto con la realizzazione di notevoli imprese ingegneristiche, come la strada da Ampezzo a Sauris e la diga nella gola del Lumiei, che diede origine a un lago artificiale e che rientrava nel progetto della SADE di sfruttamento sistematico delle risorse idroelettriche carniche. Gli amministratori della comunità ampezzana, peraltro, con intelligenza agirono non solo sul piano materiale, ma anche su quello morale, investendo risorse nella promozione della scolarità, sostenendo la costruzione di asili, scuole elementari e medie, professionali e convitti per venire incontro alle esigenze degli scolari delle borgate più lontane e disagiate. Tutto ciò, comunque, non è bastato per frenare il declino demografico della comunità, i cui giovani, dopo il miracolo economico e ancor più dopo il terremoto del 1976, preferirono orientarsi verso le aree industriali più evolute della regione.
Ultimo, ma non meno rilevante, il ruolo della componente femminile, vero centro della vita familiare ed economica in un contesto in cui gli uomini, ed era la maggioranza dei casi, emigravano, lasciando alle donne la responsabilità della casa e dei lavori nei campi. E anche nei momenti più drammatici del primo e del secondo conflitto mondiale, con mariti e figli al fronte o alla macchia nella lotta partigiana, nell’esodo dopo Caporetto o sotto l’occupazione straniera, austro-ungarica nel 1917-18, cosacca tra 1944 e 1945, una volta spazzata via l’eccezionale esperienza della libera Repubblica di Carnia, furono loro ad affrontare e superare tutte le difficoltà, conquistandosi sul campo l’emancipazione e il riscatto sociale.

Una risposta a “Ampezzo: in una monografia la storia di una valle e della sua gente”

  1. "… anche il sogno di adeguati collegamenti ferroviari con la pianura essendo tramontato miseramente, nonostante le speranze inizialmente riposte nella costruzione della ferrovia da Carnia a Tolmezzo e Villa Santina …"
    Che peccato davvero! non riesco a capirne i motivi reali, forse perchè sono qui da poco.

    Sai io sono originaria di Ampezzo dal 1600 da parte di padre. Possiedo l’albero albero genealogico e il rtorno alla mia terra è stato motivato anche da questo. Mio bisnonno e mio nonno erano medici ma dovettero emigrare a Milano.

    Mi complimento per la tua precisione e per la  tua preparazione, come sempre, anche descrivendo la realtà di Ampezzo. Ciao. Gio

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