Colloredo: Molinaro si impegna per il recupero del Castello


L’assessore Molinaro è proprio deciso; e del resto questa è l’ultima grande opera non terminata del terremoto del 1976. «È la mia guerra dei trent’anni, tanto è il tempo che mi sono battuto per recuperarlo. Questa di Colloredo è l’ultima incompiuta del terremoto, ora vinceremo noi». Era assessore alla cultura del paese caro al Nievo quando cominciò a sollecitare le istituzioni al recupero del castello; è assessore regionale alla cultura nei giorni in cui si chiude il cerchio e si rompe l’incantesimo. Roberto Molinaro è raggiante e saluta cosí un impegno personale per la realizzazione di un sogno: restituire il castello agli antichi fasti. «Le procedure sono avviate, l’insediamento del commissario straordinario è questione di giorni, di ore. Poi si darà rapidamente corso agli adempimenti per concludere la progettazione e indire l’appalto dei lavori», promette. È il coronamento di uno sforzo personale: «Ammetto che c’è l’orgoglio di avere contribuito a fare per Colloredo la prima operazione in Italia nel campo del recupero di beni vincolati con delega diretta dello Stato alla Regione». Questo castello nella sua lunga storia è stato recuperato più volte: Stanislao Nievo, lo scrittore scomparso nel 2006 a 78 anni e sepolto a Colloredo, si è a lungo battuto per recuperare il castello della famiglia e dell’avo delle Confessioni. Ne ha anche scritto, lasciando pagine indimenticabili. Pubblichiamo una sintesi di un suo articolo del 20 ottobre 2003 in cui perorava la causa del maniero. Fu 255.400 giorni or sono – piú scampoli del febbraio bisestile persi negli anni – che iniziò la vita del castello di Colloredo: era il 4 dicembre di settecento anni fa. Oggi, 20 ottobre 2003, si torna a Colloredo a esporre il piano di recupero dell’intero complesso. Allora il progetto prese il via dalle carte del patriarca Ottobono de’ Razzi, di cui abbiamo copia nell’Atto di Licenza a costruire il castello. Oggi è lo studio Altieri di Vicenza che ha radunato nel progetto una schiera di architetti, italiani e stranieri. Cosí Colloredo riprende il via, a parte l’anticipo pedissequo dell’ala ovest – affidata alla Comunità collinare – che mostra un angolo rifatto da un po’ di anni. Oggi vengono qui autorità e proprietari, amici e paesani, studiosi e studenti, architetti e manovali. La vita mette la firma alla riapertura del maniero. Ma oggi come si ricostruisce? O, meglio: come si continua a costruire un castello che tra allargamenti e rifacimenti, terremoti e occupazioni di eserciti stranieri e di masnade momentanee, ha creato un enorme fiore di pietra dai cinque petali centenari, con corolle di mattoni, tre pistilli a torre e un nerbo sotterraneo nel pozzo centrale? Ma cos’è oggi un castello? Nella storia delle abitazioni è la piú grande manifestazione mai apparsa. Lasciando stare templi, chiese e conventi dedicati ai culti diversi, il castello è il segno abitativo di varia potenza che piú ha marcato il paesaggio nelle tante società che si sono susseguite. Oggi a Colloredo, per ragioni giustamente imposte dalle normative nazionali, se ne deve rifare uno. Come? Ripetendo il com’era dov’era, segno di rispetto e conservazione, ma spesso falso dichiarato? O avere invece il coraggio, con qualche rischio, di continuare a far crescere questa pianta millenaria col suo specifico carattere? Che è quello di essere venuto su un pezzo alla volta, secolo dopo secolo, in maniera obliqua, fino al felice sboccio d’un’aiuola castellana dal disegno unico? Non c’è castello piú famoso e grande, in Friuli. Cinque blocchi diversi, dalla nascita al Settecento, con folate d’Ottocento qua e là e colpi di Novecento restauratore, per chiudere. Era unico, bello e spazioso: piú di 350 stanze, tre torri e tegole a non finire, quasi mezzo ettaro. Qui abbiamo oggi l’occasione unica di far crescere un castello del Duemila. Il terremoto, tra i lutti e le rovine, ci lascia dopo 10.000 giorni dal suo passaggio questa estrema soddisfazione: disegnare un edificio continuando l’opera di sette secoli che può rappresentare per la civiltà europea un primato assoluto. Ma noi questo primato dobbiamo guadagnarlo facendo qui, dove sono ancora i pronipoti della famiglia d’origine, eredi di grande attaccamento, tra memorie d’artisti, generali, letterati e prelati d’alta classifica, un luogo d’accoglienza culturale adatta ai tempi internazionali che l’Europa inizia.