Friuli: gnocchi di susine, il borsch, el zuff, la jota carnica e i piatti perduti

di CRISTINA BURCHERI
Gli gnocchi con le susine, il borsch, el zuff, la jota carnica e la jota triestina, le rape con la cannella sono solo alcune delle ricette o, meglio, delle pietanze (non solo friulane) ricordate con affetto e raccontate con gusto da diversi autori (ci sono Maurizio Bait, Silvano Bertossi, Bruno Pizzul, Gilberto Ganzer, Gianna Buongiorno…) e raccolte nel volume “I piatti perduti”, recentemente edito da Libra Edizioni di Giancarlo Re. Non solo un ricettario e non un libro di racconti (19 in totale), ma un libro di racconti e ricette insieme <br />«I piatti perduti sono come quelle cose che si ritrovano casualmente in un baule, in solaio, oppure in fondo a quei cassetti che si aprono raramente: cartoline, vecchie fotografie, pagelle, nastrini, fiori secchi, lettere d’amore, abbonamenti scaduti». Spiega Gianni Mura nella presentazione ricordando un zuff assaggiato all’orso di Carnia: «Me l’ha fatto assaggiare la prima volta Gianni Cosetti, indimenticabile portabandiera della cucina carnica, uno che al primo incontro era stato alquanto brusco. Ah, la manda qui Veronelli – ricorda Mura –. Piacere! Ma se vuole capire qualcosa di quel che mangerà vada prima al museo di palazzo Campeis». Prosegue il giornalista: «Mai successo prima (né dopo) che un ristoratore mi spedisse a visitare un museo, ma aveva ragione lui».
E sempre pensando ai suoi incontri con Cosetti, Mura prende a esempio un piatto simbolo della Carnia, e della regione: i cjarsòns o chiarsciòns, come tiene a precisare.
«Gianni Cosetti mi aveva mostrato un quaderno su cui aveva annotato le ricette, raccolte paese per paese dalle donne più anziane. Non c’era una ricetta uguale all’altra. Gli ingredienti potevano passare i trenta. La spiegazione storica: le friulane anticamente a servizio a Venezia (cameriere, balie, governanti) ritornavano al paese con un po’ di spezie che unite alle erbe spontanee e ad altro ancora (latte, grappa, uvetta, biscotti) formavano il ripieno, e una grattata di scuète fumàde completava l’opera». Conclude Mura: «Risultato in tavola: i cjarsons sono poesia, mangiarli è prosa, tutto il resto è letteratura».