Illegio: quando le streghe ballavano al Plan da Màine


di NOVELLA CANTARUTTI

tratto da “A Contavant… Diec’”

 
Il capitolo delle streghe è, a Illegio, come in altri paesi, diviso tra la negazione e l’ammissione cauta, almeno in un certo senso: si è infatti in grado di osservare che, se la domanda diretta posta a un informatore intorno all’esistenza delle streghe, sollecita quasi sempre una risposta negativa, procedendo nell’indagine, il raccontare si anima di figure di streghe o comunque di persone ritenute tali  In ogni caso, mentre le apparizioni demoniache mantengono un fondo di sgomento in chi le narra, i poteri e le malefatte delle streghe sono di norma smorzati, anche perché la strega è persona reale magari vivente e, in questo caso, per i poteri che ha o che le vengono attribuiti, è ritenuta in grado di nuocere. Il Friuli di pianura, per esempio, presenta solitamente un panorama di credenze e di pratiche anche complesse, intese ad annullare gli effetti del malocchio, e gli informatori le forniscono senza eccessiva riluttanza; in montagna – e non soltanto a Illegio – si avverte la prudente riservatezza intorno a figure, motivi, episodi riguardanti la stregoneria. Tale almeno appare a me un tratto che distingue le inchieste condotte qui e altrove. Quando si domanda a bruciapelo se le streghe esistono, la risposta è dubbiosa; quando si chiede alla persona interpellata se crede nelle streghe, la risposta è di solito elusa o negativa; ciò non impedisce a chi parla di definire, senza accorgersi, la figura della strega o almeno di colei che tale è ritenuta permettendo spesso all’interlocutore di identifi carla. Si apprende inoltre come permanga la memoria di persone morte in fama di stregoneria che avrebbero avuto facoltà di trasmettere il potere a figlie e nipoti a cui c’è chi ancora chiede per ischerzo: «Àtu fat bulî il cit?» (Hai fatto bollire il pignattino?). Il cit è l’emblema della strega: si riteneva infatti che, nel pentolino, ella preparasse gli intrugli magici di cui faceva uso per più fini che spesso vengono specificati altrove (in Canale di Gorto, ad esempio), non a Illegio.<br />
In ogni caso, la figura della strega, malgrado le attenuazioni delle informatrici suggerite spesso dal timore (non dichiarato) del rischio che si può correre parlandone, da un racconto all’altro, va delineandosi più che la figura della strega in sé, il contesto umano entro cui ella esplica poteri tali da interferire negativamente nella quotidianità dei rapporti di un intero paese. Dal canto suo la strega, benché mai si dichiari, ha coscienza del male che fa, teme di essere palesade, (resa nota); al fi ne di impedirlo minaccia e ricatta le sue vittime. Intervenendo sulla salute, i rapporti, gli affari, colpisce le persone e, indirettamente attraverso i beni che posseggono: animali e cose.
A introdurre le testimonianze sull’argomento, riporto la più significativa defi nizione della strega che mai io abbia colto, espressa da agne Marie di Tine: «A’ son stries no par cjativerie, ma parcè ch’ai àn tai voi une traenze». (Non sono streghe per cattiveria, ma perché hanno negli occhi una forza, un fascino). In ogni caso, questa traenze (termine più espressivo del cjatîf voli, il malocchio), vuole implicare la fatalità del potere del quale la strega non è responsabile, ma ne è dotata dalla nascita; l’espressione nassi cu la cjamese significa anche possedere facoltà, non necessariamente malefiche, che non tutte o sempre le presunte streghe usano per cattivi fini: «No mi plâs fâ dal mâl a di nissun, ma a qualchidune par rìdile». (Non mi piace fare male ad alcuno, ma a qualche donna, per scherzare). Così affermava una strega per fama del paese di Amaro e sono abbastanza comuni le streghe che si… sfogano scrollando e facendo inaridire un albero oppure maledicendo le pietre, così almeno si sosteneva. Le streghe (raramente si parla di stregoni; a Illegio, in un solo caso) si davano convegno in più luoghi che andrò enumerando, anzitutto nel Plan da Màine, teatro, come s’è detto, di altri più o meno prodigiosi, fatti. «Tal Plan da Màine a’ disevint ch’a balavant las strias ogni joibe e un preidi ch’al è passât, ai è vignût daûr un campagnilut fi n su la puarte da canoniche». (Nel Piano della Màina dicevano che ballavano ogni giovedì le streghe e un prete che è passato fu seguito dal suono di un campanellino fi no alla porta della canonica). (…)
Le streghe di Illegio, se si davano convegno, di preferenza, alla Maina frequentavano anche altri luoghi deputati agli incontri, sia nel territorio del paese sia nella nota conca della Tenca dove trovavano le colleghe di tutta la Carnia; qui le colloca la bella leggenda di Caterina Percoto e la nota ballata In Carnia di Giosuè Carducci: «La Z ’a diseve che lave a balâ in Tencje: a’ làvint a balâ ancje in Plan da Resie (La Z diceva che andava a ballare in Tenca. Andavano a ballare anche in Plan da Resie). (…).
Se la strega esercita i suoi poteri su cose e animali, sono più gravi i danni, che provoca nelle persone, perché si crede che impedisca o scompigli il normale andamento del vivere; ma solo qualche informatrice più anziana soprattutto, con dire riservato e prudente, rivela i danni che le fattucchiere avrebbero procurato, in paese, ai propri simili. (…) A disevint ch’a ere una vecje ch’a lave a striâ là e las vacjas a’ frontavant il cjâf tal cjanton e a’ no mangjavant pui. A’ scugnivint lâ a cjoli il preidi ch’al benedive la stale. (Dicevano che c’era una vecchia che andava qua e là a gettare il malocchio alle mucche che puntavano la testa in un angolo e si rifiutavano di mangiare. Dovevano chiamare il prete che benediva la stalla). (…) Il ricorso alla benedizione da parte del sacerdote, sia dell’ambiente, come in questo caso, sia di oggetti e indumenti, allorché si tratta di persona vittima del malocchio, l’uso di acqua, cera, ulivo o altro purché benedetti, era consueto e ritenuto efficace per combattere qualsiasi guaio attribuibile al malocchio e non soltanto.