Timau: sul Freikofel trovati i resti di un caduto della Grande Guerra, il sesto dal 1992

di Antonio Simeoli.

Quei poveri resti li hanno trovati all’improvviso domenica mentre scavavano per aprire un varco tra i camminamenti e le trincee spazzate via dalla furia dei cannoni probabilmente durante i feroci combattimenti del giugno 1915. Un pugno di ossa sparse sul terreno frammiste a dotazioni appartenenti a soldati sia italiani sia austroungarici. I volontari dell’Ana di Cordenons, capitanati da Fabio Zanella, hanno avuto un sobbalzo, si sono raccolti in preghiera e hanno subito avvertito del ritrovamento del caduto della Grande Guerra l’Associazione Amici delle alpi Carniche di Timau, che da una ventina d’anni organizza sopra Paluzza le spedizioni nella zona teatro dell’immane conflitto e che a sua volta ha avvertito i carabinieri. Sono stati momenti di grande intensità emotiva. I volontari di Cordenons infatti sono alpini in congedo, innamorati delle penne nere e le vicende del Freikofel sono una pietra miliare della storia del corpo. Per questo alla pietà per quei resti si è subito fatto largo l’orgoglio di poter contribuire al ripristino di quelle trincee in cui combatterono per oltre due anni migliaia di soldati divisi da un confine che fino al giorno prima dello scoppio del conflitto attraversavano magari per andare al lavoro. Tra l’altro, come riferisce Lindo Unfer, deus ex machina dell’associazione di Timau, i ritrovamenti di resti di caduti del conflitto sul Freikofel, sul Pal Piccolo o sul Pal Grande non sono proprio all’ordine del giorno. «Con l’ultima scoperta – spiega Unfer – i caduti ritrovati sul Freikofel dal 1938 sono 33, sei soltanto negli ultimi vent’anni». Periodo in cui l’associazione presieduta dal tenente alpino Marco Plozner ha avviato un percorso che ha portato prima all’apertura del Museo di Timau, che ha trovato posto nell’ex scuola elementare, e poi all’apertura, sempre sul Freikofel, del museo all’aperto. Sono decine i gruppi di volontari porvenienti da tutta Italia che nel periodo estivo si alternano a quota 1.700 per riportare alla luce chilometri e chilometri di trincee, camminamenti, gallerie che italiani e austro-ungarici costruirono a tempo di record prima che sulla montagna si scatenasse l’inferno. «Tra il 6 e il 10 giugno 1915 – spiega Lindo Unfer, classe 1926 e una grinta da esportazione – i combattimenti furono terrificanti e la cima passò ripetutamente di mano tra i due contendenti dopo combattimenti anche corpo a corpo e sotto l’incessante fuoco delle mitragliatrici. Ecco perchè accanto ai poveri resti di quel soldato sono strati trovati pezzi di armi italiane e austriache. Impossibile quindi risalire alla nazionalità del caduto». Finite le battaglie, infatti, le truppe raccoglievano i morti che erano in vista, le vittime sepolte dalla roccia frantumata dai cannoni restavano lì. Anche per più di 90 anni.