Udine: la storica libreria Ribis chiude i battenti


Carlo Sgorlon dal MV di oggi

Domani chiuderà definitivamente un’altra libreria udinese. È la Ribis, di via Cavour, nel punto in cui incrocia via Paolo Canciani. Essa è l’erede di un’altra libreria, la Bruni, che aveva le sue vetrine nella traversa che da via Carducci conduce a Piazza dei grani. È una libreria legata ai miei ricordi giovanili, a quello di un signore piuttosto massiccio, dall’apparenza perennemente infreddolita, che teneva sempre una sciarpa grigia al collo, e aveva la parola un po’ brusca e bofonchiante. Proprio “alla friulana”. Poiché tutte le librerie si distinguono almeno un poco tra di loro, la Bruni si caratterizzava per essere frequentata preferibilmente da maestri elementari, che vi ordinavano soprattutto libri per le scuole.<br />
Poi il signor Bruno Bruni si ammalò e scomparve. Ma la sua libreria restò, anche se si spostò di una settantina di metri e vide qualche mutazione significativa. Per dire le variazioni precise ci vorrebbero le conoscenze minute di scrittori specialisti, diciamo così, della vecchia Udine, come lo era il compianto Renzo Valente, o come lo è Mario Blasoni, o forse anche Tito Maniacco, divoratore di libri di ogni sorta, ma anche conoscitore di tanti fatti e tante “dietrologie” della nostra quieta e millenaria città.
La libreria cambiò nome. Essa da Bruni si mutò in Ribis. Cambiò anche la specializzazione, perché in essa era piú facile che altrove trovare libri dell’editoria locale, sia in friulano che in italiano. Quando, per esempio, voleva acquistare una copia dei miei libri ormai lontani nel tempo, come La notte del ragno mannaro, o
Il quarto re mago, stampati e ristampati da Studio Tesi di Pordenone, che poi fu costretta a sospendere le sue pubblicazioni per motivazioni economiche, era là che li cercavo e li trovavo.
Da Ribis si riusciva a ottenere dunque ciò che ormai non c’era piú altrove, che era ormai uscito dal mercato librario. L’impressione era che lí ci fossero piú libri che altrove, anche se la distanza tra il bancone di vendita e la porta d’ingresso e d’uscita era minima. Dove li tenevano tanti libri, anche quelli stampati trenta o quarant’anni prima? Bisogna ipotizzare che, al di là delle porte che si aprivano a lato del bancone, spazi molto ampi, magazzini con scaffalature smisurate. Comunque, era da Ribis che si trovavano i libri editi dalla Nuova Base, da Arti Grafiche, dalla Società Filologica Friulana. E l’impressione generale era che lí spirasse un’aria piú nostrana, piú friulana che altrove. La penuria di spazio, almeno apparente, aveva compensi impensabili. Chi era il proprietario? Non lo so. Oltre alle commesse v’erano due signore, Annamaria Balduzzi e Tina Marchio, moglie dell’ingegnere Vittorio Zanon che è anche l’editore della Panarie e proprietario della
Nuova Base, probabilmente la casa editrice principale della nostra città.
Vittorio Zanon fa, sí, l’ingegnere, ma è anche un bibliofilo. La passione per i libri e l’editoria ce l’ha chi ce l’ha, e non necessariamente costui è laureato in lettere, storia o filosofia. Annamaria Balduzzi era la segretaria di un notissimo commercialista e uomo politico udinese, Alfeo Mizzau, mancato da poco. Anche lui era un bibliofilo straordinario. Un suo amico, il professore e preside Armando Bros, scomparso ormai da molti anni, mi disse una volta che il dottor Mizzau aveva (allora!) una biblioteca di diecimila volumi. Niente male per un commercialista e uomo politico, che fu anche deputato al Parlamento europeo. La mia biblioteca, dispersa tra due appartamenti di Udine, due garages, e la casa di campagna, non arriva a quella cifra; eppure ho passato forse un quarto della mia vita a leggere.
Dunque Annamaria Balduzzi e la signora Zanon legarono insieme nell’orbita e nell’amicizia con un commercialista bibliofilo, nel comune amore per i libri e i lettori. Erano libraie di un genere che si va perdendo. Ogni cosa muta nel tempo, e quindi anche i libri, gli editori e i librai. Una volta i libri rappresentavano un genere di prodotto del tutto particolare, specie quelli di letteratura. Avevano come dea sovrana e protettrice la musa della poesia, ossia la bellezza, che si realizzava per mezzo delle parole. Oggi assai piú della poesia, di cui si va perdendo persino la nozione, l’editoria si occupa di gialli, di denunce sociali, di scandali, di trasgressioni, di violenze, di malavita, di invenzioni iperboliche. Cosí, a mano a mano che il concetto di poesia sembra dissolversi, parallelamente paiono scomparire tante librerie all’antica. I libri oggi si vendono anche al supermarket, nei grill delle autostrade, nei grandi uffici postali, come merce qualsiasi. Invano l’acquirente si rivolgerebbe ai commessi per avere un consiglio, un’indicazione. I libri si vendono come fossero scatole di tonno o di pomidoro. E il cliente di passaggio raramente compra un libro (per lo piú americano, di cui ha visto la pubblicità in televisione o sui giornali). È un fenomeno che si inserisce nella superficialità e nella mancanza di spiritualità della nostra epoca, nella ricerca di piaceri grossolani e a buon mercato. E le antiche librerie chiudono per sempre.