Vajont: il grido di Mauro Corona “la centrale non deve ritornare”

Maurizio Bait dal Gazzettino di oggi

Vajont, l’abisso dell’urlo spezzato. Una parola che fa tremare ancora dopo quasi quarant’anni, che sa di sopruso cieco e di strage degli innocenti. Se poi la pronunci a Erto, nel freddo silente di gennaio, mentre contempli l’immane sfaldatura del Monte Toc e poi abbassi lo sguardo sull’imperativa panoramica della diga, allora un brivido si scarica forte sulla pelle e nel cuore. E pare di sentire ancora la bomba dell’acqua e le grida della disperazione.
      Lui, Mauro Corona, lo spirito del Luogo, nel film "Vajont"  di Renzo Martinelli faceva l’oste che rimbrottava i paesani. Li ammoniva profetizzando che la diga avrebbe portato la civiltà e i quattrini a salire i tornanti dell’angusta vallata.<br />
      Ma oggi, dal vero, si dice tendenzialmente contrario alla riattivazione della centrale idroelettrica del Vajont. Sa anche che non tutti, a Erto e giù sul Piave, a Longarone, la pensano allo stesso modo. Ha «in forno», come dice lui, altri tre libri. E un dubbio lacerante, che ci svela seduto alla "Stella Alpina", venti metri dalla casa-laboratorio da scultore e scrittore.

 

      Mauro, la Regione Friuli Venezia Giulia ha detto che si può fare una centrale, più piccola magari.
     
«Le scuole di pensiero sono due. Alcuni si chiedono perché perdere la ricchezza che può venire dall’acqua, dalla sua forza. Ricchezza per noi dei paesi qui intorno, è chiaro».
      E gli altri?
     
«C’è l’aspetto morale. Ci sono i morti. n fin dei conti, se riattivano al centrale vuol dire che torna a lavorare la diga. Sì, mi sento abbastanza contrario, molte risorse più nobili e meno criticabili sono possibili anche qui».
      Un no secco?
     
«Non proprio, il dubbio c’è sempre. Però deve decidere la nostra gente, quelli di qui. Ma io dico state attenti: se accettate, poi vi attaccheranno. Diranno che prima avete pianto sul Vajont e poi ci avete fatto i soldi con la diga. Non dobbiamo esporre il fianco».
      Cambiamo discorso ma non troppo: con la vecchia Giunta regionale di Riccardo Illy avevi un contenzioso sulla ghiaia e il serpentone di Tir che la portavano a valle. Renzo Tondo ha risolto il problema?
     
«Purtroppo no. E dico purtroppo perché a Renzo e alla sua umanità voglio molto bene. La nostra amicizia resterà sempre forte e inattaccabile, però porca miseria…».
      Perché porca miseria?
     
«Ma come perché? In poche settimane la tracimazione del Varma, sopra Barcis, ha tagliato fuori dal mondo quattro volte la Valcellina. Basterebbe fare una sopraelevazione della strada. Ma non la fanno. Ma il problema è più ampio».
      Ovvero?
     
«La Valcellina è patrimonio dell’umanità certificato dall’Unesco. Bene: allora mi spieghino perché non si valorizzano le forme di turismo culturale, storico, per le scuole. Perché continuano a far passare quei maledetti Tir. Hanno perfino allargato i tornanti del Passo di Sant’Osvaldo per farli passare più comodamente. Lo facevano sotto Illy e adesso purtroppo anche con la presidenza di un caro amico».
      Ma la ghiaia dagli alvei bisogna pur toglierla per evitare dissesti. E qualcuno deve portarla via.
     
«La Valcellina ha un parco, risorse naturalistiche straordinarie. Occorre portare bambini e i loro genitori, non i Tir. Occorre collegare i nostri tre paesi (Erto-Casso, Cimolais e Claut, ndr), non impolverare i boschi. Che ricchezza portano i Tir? I camionisti non si fermano neanche all’osteria per mangiare un boccone».
      Ripetiamo: la ghiaia va portata via, in Valcellina come in Carnia o in Val Canale. O laggiù in Veneto, dall’altra parte del Piave.
     
«Insomma: se devono cavare la ghiaia e portarla via, lo facciano. Qui e altrove. Non c’è problema. Ma copino dagli svizzeri, che hanno teleferiche lunghe anche 15 chilometri. Qui ne basterebbero molti di meno. No, no: stavolta ho ragione fino in fondo. È forse l’unica volta che ho veramente ragione».
      Ma di teleferiche non parla nessuno.
     
«L’importante, per loro, è cavare e vendere. L’intelligenza dell’uomo è inversamente proporzionale alla sua brama di denaro. Chi vuole troppo è un idiota».
      I sindaci sono d’accordo con te?
     
«Magari. I sindaci tacciono. E tace la direzione del Parco. Sennò la Regione si arrabbia. A ’sto punto o tolgono i Tir o tolgano il blasone Unesco, perché qui l’ambiente non lo difende nessuno e ci stiamo prendendo in giro».
      E intanto tu, con le Storie del mondo storto che in fondo raccontano la troppa brama di tecnica, stai sempre in classifica nazionale.
     
«In poche settimane già 160mila copie, meglio ancora di Storia di Neve e del Canto delle manere».
      E poi?
     
«E poi non ve lo dico, sennò mi copiano. Certi scrittori sono molto bravi ma scarseggiano d’idee».
      Copiare Corona non è facile. Sei troppo particolare.
     
«Va be’, lo dico: un romanzo in parte autobiografico di un uomo che vive fino a 76 anni (così mi dò ancora un po’ di tempo…). Non vuole funerali o cremazioni e alla fine si infila in una foiba e si lascia asciugare dal vento. Da lì vede il mondo ma nessuno vede lui, tranne una certa "lei"…».
      Una volta ci hai parlato di una ventina di nuovi racconti.
     
«Sì, venti racconti allegri e uno triste. Sono praticamente pronti. E viene avanti una sorta di manuale non pedagogico per i giovani. Per aiutarli a non farsi male nella vita».

2 Risposte a “Vajont: il grido di Mauro Corona “la centrale non deve ritornare””

  1. … e intanto via con la pubblicità per i suoi nuovi libri. Ma li scriverà tutti lui dico io ? Li sta sfornando alla stessa velocità di Bruno Vespa ormai.

    Ma poi, per far conoscere le problematiche del Vajont, ci sta solo Mauro Corona?

  2. Mamma mia come sei arrapato, probabilmente sei solo un invidioso.
    Mauro Corona li scrive proprio lui i libri e lo fa sui quaderni a righe con la copertina nera, quelli che andavano di moda negli anni cinquanta. Nel cinquanta siamo nati io e lui. Lui ha il vantaggio che sua figlia gli corregge le bozze, così é facilitato nella stesura. A noi del 50 mica ci manca la fantasia!

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